Velasquez's Logbooks

Ieri è stata una giornata passata in bella compagnia, e come ogni domenica, senza piani, si è partiti per mete ignote. L’aria non è più afosa come gli scorsi giorni, il cielo sembra più bello, più azzurro, con qualche piccolo cirro che si aggira sopra le montagne dell’interno. La 131 è la colonna vertebrale dei nostri viaggi, da lì puoi seguire le costole come la 125, la DCN, inerpicarti fra le colline del Nuorese, o semplicemente farti trasportare dalla velocità e, senza rendertene conto, finire a un imbarco per il continente. Solo qui capisci quanto il mare condizioni le tue scelte di vita, anche le più banali, le più ludiche e improvvisate. Ecco che, quando inizi a vedere i cartelli che indicano Porto Torres, le tue scelte devono essere prese di lì a poco. Mare o montagna, questo è il dilemma e, anche se d’estate la risposta sembra scontata, un cambio di direzione verso nord est ti fa capire che stai salendo verso il fresco delle montagne della Gallura. Il giallo intenso della pianura del Campidano inizia a essere sostituito dal verde dei ripidi pendii visibili dalla strada che conduce a Tempio Pausania. Oggi sono solo un passeggero, e mi godo il paesaggio. Ricordi della mia adolescenza, quando suonavo la mia tromba nelle piazze della Sardegna, si rincorrono, miscelando la nostalgia per gli anni ormai lontani e la meraviglia, suscitata dalla bellezza del posto, che tuttora non smette di sorprendermi.  Memorie di viaggi sui bus delle Ferrovie Meridionali Sarde noleggiati per partecipare al carnevale tempiese, il Carrasciali con Re Giorgio e i suoi falò, preludi della primavera. Durante le sfilate dei carri, oltre il frastuono provocato dalle musiche delle bande musicali, si potevano udire i nuovi tormentoni appena usciti da Sanremo, come “Maledetta primavera” di Loretta Goggi, o “Il ballo del Qua Qua” portato al successo nel 1981 dagli allora inscalfibili Albano e Romina. Quel brano ci tormentò alla radio per oltre sei mesi in quanto presente nella Top Ten dei 45 giri più venduti in Italia. Fu un successo commerciale dei fantastici anni ottanta, e proprio Fantastico divenne anche lo show più seguito di quei tempi. Ci eravamo quasi dimenticati di Canzonissima, che forse mancava tanto nelle case degli italiani, quando i dirigenti Rai inventarono questo format che divenne in poco tempo la fucina di nuovi talenti e personaggi della TV. Come scordarsi di Heather Parisi che a suon di spaccate ballava e cantava Cicale, o della Lorella nazionale e della sua eleganza e disinvoltura di fronte a mammut come il mitico Pippo Baudo. Mi sentivo in po’ in colpa nel divertirmi ad ascoltare e cantare pezzi come quelli, i miei standard erano Chet Baker, Miles Davis, i Pink Floyd, i Genesis. Gli italiani che ammiravo avevano nomi scolpiti nella roccia, come Lucio Dalla, De Gregori, e De André. Quest’ultimo lo vidi proprio a Tempio o meglio, per essere onesti, lo intravidi, o forse no era solo il miraggio, il desiderio di incontrarlo. Fu qualcosa di surreale perché, come in un passa parola da trincea, si sparse la voce che Faber era ai lati della nostra sfilata accompagnato dal figlio Cristiano e da Dori Ghezzi. Non c’era stupore, lo sapevamo che la Sardegna era per loro la loro nuova casa, ma tutti eravamo eccitati dal fatto che lui potesse ascoltare le note dei nostri strumenti. Lo intravidi o forse no, “macché non è lui”, ripeté per anni il mio compagno musicante, e anche se questo dubbio è rimasto con me fino ad oggi, voglio convincermi di averlo visto almeno una volta dal vivo. Quel serpentone di strumenti festanti si inerpicava sulle stradine ripide della piccola cittadina gallurese portando via qualsiasi tristezza o pensiero negativo, come facevano le trombette di latta cantate da Montale in Ossi di Seppia. Il centro abitato di Tempio è immerso nel verde di colline boscose ed è caratterizzato dal granito con buona parte delle case e dei selciati costruiti con questa materia prima. Ogni qualvolta si arrivava lì, si andava a visitare il parco con le rinomate fonti di Rinaggiu, il ritrovo estivo dei tanti che si avvicendano nel rifornirsi della loro acqua, o  che vogliono godere del fresco dell’ombra dei suoi alberi. Erano quelli, anni felici e spensierati per gli abitanti di Tempio, e anche per noi.  Fino a quel maledetto 1983, soprattutto in quella rovente estate ricordata per il caldo opprimente. Tutti cercavano di ripararsi dalla calura insopportabile quando le temperature avevano raggiunto per diversi giorni livelli d’allerta, ben oltre la soglia dei quaranta gradi. Era una giornata come tante quel 28 luglio, un giovedì lavorativo. Giorni prima, in tanti festeggiavamo l’anniversario della vittoria sulla Germania Ovest ai mondiali di calcio. Era bello, era estate, era un’isola felice la Sardegna, e Tempio era un luogo dove il caldo, dopotutto, si sentiva meno che in pianura. C’era solo qualcosa che non poteva essere previsto, di certo qualcosa che un uomo di animo buono non può nemmeno contemplare.

Dapprima fu un incendio isolato, che si dice partito dalla costa, ma chissà, se l’origine era una sola o se a scatenare l’inferno erano stati diversi eventi accaduti nelle ore successive di quella giornata. Non si poteva capire quale sarebbe stata la tragedia che di lì a poche ore avrebbe strappato nove anime a quella comunità.

Tutti erano lì per amore della propria terra, intenti a difendere le proprie case, i propri concittadini. Chi faceva il proprio dovere o chi invece di sua spontanea iniziativa dava una mano a contrastare la furia delle fiamme. Lo sappiamo benissimo, gli elementi come il fuoco e l’acqua possono essere amici dell’uomo, ma quando non lo sono, sono imprevedibili e chi non ha mai assistito a un incendio non può capire quanto si è impotenti di fronte ad essi. Anche loro, quei nove uomini, forse non lo avevano capito, e quel giorno tutti gli elementi naturali si stavano scatenando come nella più perfetta delle tempeste. Alte temperature e vento fortissimo crearono quella miscela esplosiva che tutti i forestali temono. Niente e nessuno può fermare quella furia assassina e divoratrice. Nemmeno l’amore immenso di quei nove. Furono sorpresi dalla velocità del fuoco, dal fumo, dal calore, qualcuno ormai quasi in salvo, bloccato da una stupida recinzione.

Oggi, dalla collina di Curraggia è possibile osservare quel ripido pendio dove accorsero tantissimi volontari, gente comune che arrivava anche da altre zone della Sardegna, ma anche i professionisti come operai forestali e agenti e sottufficiali del Corpo Forestale. Tutti loro, uniti nel disperato tentativo di salvare la periferia dove sorgono le ultime case dell’abitato e, soprattutto, per evitare che il fuoco arrivasse anche al parco delle Fonti di Rinaggiu. Il fuoco era troppo veloce, troppo cattivo perché potesse essere arrestato o attenuato con pochi inadeguati strumenti, quasi inutili se si pensa alla dimensione della catastrofe che stava accadendo. A quei tempi c’erano poche risorse come elicotteri o i mitici Canadair, e quell’estate la Sardegna bruciava dappertutto. Quando vedevi una colonna di fumo iniziavi a pregare, ogni tanto ti illudevi di sentire il familiare rumore del rotore di un 205 dell’Esercito. La maggior parte delle volte, invece, assistevi impotente al passare veloce delle fiamme sulle chiome degli alberi e solo pochi volenterosi che spegnevano con le frasche, magari in ciabatte e abbigliamento da spiaggia. Questo era il sistema antincendio di quegli anni.

Fu soprattutto la determinazione e il sacrificio finale di quegli uomini che, spinti più dalla disperazione che da un impossibile successo, ispirò molti cittadini in tutta l’isola a fondare associazioni di volontariato. A spingere, soprattutto, lo Stato e la Regione a destinare più risorse e mezzi per lottare non solo contro il fuoco ma anche contro i piromani e il malaffare che si cela dietro questo fenomeno che affligge oggi l’intero stivale. Di lì a poco si rinnoverà anche la dotazione del Corpo Forestale, dove oggi operano molti miei cari amici. Uomini impegnati su diversi fronti e ai quali dovremmo essere sempre grati per la strenua difesa del nostro territorio.

Mancavo da Tempio Pausania da oltre 35 anni, e mai negli anni seguenti la tragedia di quell’estate, nemmeno per un istante, mi era venuta l’idea di visitare quei luoghi e soprattutto la collina di Curraggia.

Di fronte a quelle lapidi sono rimasto immobile, leggendo uno ad uno quei nomi, insignificanti per chi non conosce quella storia, non per me. Avevo solo diciassette anni e ancora ricordo quei TG di Videolina nelle sere caldissime nella mia Iglesias, dove il rimbombare delle TV nelle strade sapeva di sirene ed urla di dolore, di sconforto. Ho cercato di spiegare, di raccontare quella storia a chi mi accompagna in questa bella domenica di luglio. Ho cercato su youtube: “Curraggia, l’incendio del 1983”, sono usciti i filmati dell’epoca, quelle stesse urla, quelle sirene di quarant’anni fa. Ho chiuso il telefono, non c’è campo, è stata la scusa. Ho provato lo stesso sconforto di allora e dopotutto, penso, questa è una gita felice, spensierata, lo è soprattutto per chi mi accompagna. Quindi ho cambiato discorso, ho ripreso a sorridere, ripensando agli anni belli, al Carrasciali e a quel serpentone festante di trombette di latta e, a quei bambini che eravamo e alla nostra musica innocente che mai se n’è andata.

Una foto scattata a Tempio Pausania durante l’incendio di Curraggia
(Archivio Unione Sarda)

La vicenda

Le fiamme partirono dal mare, si fecero largo tra strade, boschi e arbusti in direzione di Tempio Pausania fino ad arrivare nelle campagne di Bortigiadas e di Aggius per poi propagarsi sulla collina di Curraggia, per un totale di oltre 18000 mila ettari di terreno andati in fumo.

Con l’allarme diffuso dal suono delle campane, si organizzarono rifornimenti sul luogo dell’incendio, cibi e bevande di conforto per gli operatori accorsi. Tra i volontari che si prestarono alla lotta contro le fiamme, pochi erano dotati di equipaggiamento adatto: alcuni di loro cercavano di domare le fiamme in ciabatte, vestiti con pantaloncini e maglietta.

Numerosi furono i soccorritori accorsi da tutta la Sardegna, uomini e mezzi del Corpo forestale dello Stato, dei vigili del fuoco e delle compagnie municipali antincendio. Diversi di questi uomini, operatori e volontari, furono improvvisamente accerchiati dal fuoco che provocò 9 morti e 15 feriti. Tra le varie ipotesi sulle cause che scatenarono le fiamme, l’opera dei piromani è una certezza. Le concause furono le alte temperature estive di quei giorni e il vento che soffiava impetuoso.

All’epoca, in Sardegna, erano di stanza un basso numero di elicotteri antincendio e Canadair.

Il 24 luglio del 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito alla memoria la medaglia d’oro al valor civile alle 9 vittime di Curraggia.[2]

Il 28 luglio 2007, anniversario della tragedia, la data dell’incendio è stata dichiarata Giornata europea di sensibilizzazione contro gli incendi boschivi, dalle regioni europee partner del Progetto Interreg III C OCR Incendi, in memoria di tutte le vittime cadute nella lotta al fuoco.

Il 28 luglio del 2009 la medaglia d’oro al valor civile è stata assegnata anche a sei dei feriti di Curraggia[3] e il 28 luglio del 2011 la medaglia d’argento al valor civile è stata riconosciuta alla città di Tempio Pausania, accogliendo la richiesta formulata dall’ASS.FOR.ONLUS (Associazione dei forestali della Sardegna) al presidente della Repubblica nel luglio del 2010.

Il 28 luglio di ogni anno l’ASS.FOR.ONLUS, con il Comune di Tempio Pausania organizza manifestazioni per ricordare tutti i caduti nella lotta agli incendi.

Vittime

Insigniti della medaglia d’oro al valore civile il 28 luglio 2007:

  • Diego Falchi, 43 anni, maresciallo del Corpo forestale;
  • Tonuccio Fara, 36 anni, muratore;
  • Mario Ghisu, 35 anni, operaio forestale;
  • Luigi (Gigi) Maisto, 24 anni, operaio tessile;
  • Silvestro Manconi, 44 anni, muratore;
  • Tonino Manconi, 50 anni, ex segretario comunale di Aggius e Bortigiadas;
  • Claudio Migali, 37 anni, vigile urbano;
  • Salvatore Pala, 40 anni, maresciallo del Corpo forestale;
  • Sebastiano (Nino) Visicale, 32 anni, impiegato.

Feriti

Insigniti della medaglia d’oro al valore civile il 28 luglio 2009:

  • Francesco Antonio Azara;
  • Vanni Bisson;
  • Antonello Forteleoni;
  • Mario Marchesi;
  • Gianni Mazza;
  • Giuseppe Sotgiu.

Memoria

A Salvatore Pala, è intitolato il parco comunale di Pattada.

A Claudio Migali, è intitolata la caserma dei vigili urbani di Tempio Pausania

(Fonte Wikipedia)