Velasquez's Logbooks

Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni.

(Eleanor Roosevelt)


 

Ci sono­ tante vie per arrivare ad identificarsi con un luogo e, come ho scritto tante volte, con pochi fili che mi conducono alle radici della famiglia d’oltre mare, mi sono sempre concentrato su ciò che mi legava alla comunità iglesiente e sarda. Uno di questi è sempre stato l’appartenenza alla cultura che proviene da un’economia basata sull’industria mineraria, che in tanti hanno toccato direttamente o per vie traverse. Dove ho sempre vissuto, l’aria stessa parla di miniera e, se penso che mio padre, nel lontano 1948, è finito qui per giocare a calcio nella squadra della società Monteponi, ecco che i caratteri, le figure e i luoghi che ho interiorizzato sono intuibili e facili da identificare. Miniera, quel padre padrone che, fino alla sua morte, ha influenzato non solo il destino dei luoghi ma anche le menti di una popolazione; ha creato un legame dal quale non ci si poteva sottrarre e che per troppo tempo ha imprigionato tutti. Una miscela di pane, scuola, divertimento, con la quale il datore di lavoro provvedeva alla fornitura di servizi come lo spaccio di prodotti alimentari, scuole per l’infanzia, colonie estive per i figli dei dipendenti e addirittura lo stadio di calcio. Con la chiusura totale di tutte le società minerarie, vi erano tutti i presupposti per capire che un giorno una comunità intera avrebbe sofferto non solo la mancanza di un lavoro ma anche quella delle idee. 

 


 

Miniera Masua
Iglesiente: Luoghi che profumano di storia e adatti alle attività outdoor

 


E la domanda sorge spontanea: è questo il motivo per cui si è arrivati ad una condizione di crisi occupazionale così grave nel Sulcis Iglesiente?  La storia ci insegna che anche il Polo di Portovesme, che sta oggi attraversando anch’esso un periodo nero, è stato solo un modesto surrogato di ciò che chiamavamo industria. Sul finire degli anni settanta, quando si delineò chiaramente la definitiva crisi industriale, si iniziò a sentir parlare di archeologia mineraria; un concetto ancora nebuloso che, nell’intento di molti, avrebbe gettato le basi per una riconversione economica, fondata su un turismo culturale, sfruttando ciò che ci avevano lasciato le compagnie minerarie ormai diventate storia. Tanti i progetti, moltissime le pubblicazioni uscite in quegli anni e tante, troppe, le parole gettate al vento, negli ambienti politici isolani, incapaci di dare risposte alle idee, qualcuna veramente valida, di intellettuali e tecnici provenienti dal mondo del lavoro minerario. E nel frattempo, in questo vuoto creato con la chiusura di questa immensa industria, divenne impellente il bisogno di avvalersi del know how di personale qualificato che si occupasse delle bonifiche e della messa in sicurezza delle vaste aree dismesse che,  per ovvie ragioni, stavano diventando luoghi molto pericolosi. Ecco che La Regione Sardegna si prodigò nel costituire una società, la IGEA S.p.A., nata dalle ceneri della vecchia società S.I.M. (Società Italiana Miniere), che fino ai giorni nostri ha gestito tutti i siti minerari dell’isola compresi quelli più famosi come Porto Flavia e la Galleria Henry. Questi furono i primi passi obbligati per evitare che tutti i terreni delle concessioni diventassero terra di nessuno, anche se nulla era stato ancora fatto per dare nuova vita ad un territorio che non poteva vivere di soli sussidi. Mancava infatti un tassello importante: chi o cosa avrebbe dovuto sovraintendere e coordinare una vastissima e complicata operazione di valorizzazione dei tanti cocci lasciati dalla attività estrattiva in Sardegna.

 


 

Miniera di Monteponi
La grande miniera di Monteponi e la città di Iglesias

 


Qualcuno teorizzò la nascita di un Parco il cui territorio era compreso tra i massicci del Monte Linas e Marganai e, su questa linea, si andarono attivando rapporti con l’UNESCO pensando ad una riserva Man and Biosphere; un’istituzione che doveva promuovere, ponendo come suo presupposto lo sviluppo sostenibile, attività di ricerca scientifica e interdisciplinare sui vari ecosistemi che negli anni avevano palesemente subito drastici cambiamenti a causa dell’attività umana. E non era un caso che l’Iglesiente fosse un terreno favorevole per lo sviluppo di idee come questa: L’attività estrattiva aveva plasmato e condizionato sia l’ambiente terrestre che quello marino.  Si capirà però ad un certo punto che non bastava solo la tutela delle biodiversità, e proprio per le specificità antropologiche, geologiche e industriali presenti, si doveva proporre un progetto più ampio per questi luoghi. Si gettarono quindi le basi per un Parco Geominerario della Sardegna con la costituzione di un comitato promotore nel 1991 e che, qualche anno più tardi, nel 1998, vide riconosciuto il suo valore internazionale da parte dell’UNESCO. Nonostante gli importanti passi, dopo diversi anni, dell’ istituzione del Parco non si vide nemmeno l’ombra. Erano questi i giorni della mobilitazione e dell’occupazione della Miniera di Monteponi dell’allora consigliere regionale Giampiero Pinna che creò un’ampia finestra di visibilità. Questione che si concluse qualche tempo dopo con la firma da parte del Ministro Matteoli del decreto istitutivo del Parco Geominerario sardo. Fu l’inizio della consapevolezza che quella preziosa “miniera” di luoghi, immobili e tecnologia non sarebbe stata perduta per sempre.

 


 

Miniere Cuccu Aspu
Miniere abbandonate, patrimonio storico del territorio

 


Da allora è stato fatto tanto, essenzialmente con fondi pubblici, ristrutturando siti e villaggi minerari. Ma, il più delle volte, senza dar seguito a quell’opera con processi di privatizzazione o quantomeno con semplici concessioni, non si è prodotto un reale contraccolpo economico e sociale necessario per dare un forte segnale di rinascita al territorio. E, mettendo a raffronto lo straordinario patrimonio minerario già avviato al mercato turistico con il numero di persone che oggi effettivamente lavorano ed usufruiscono di questa economia, ci rendiamo conto che ancora tutto questo non è sufficiente. Ed è certo che non ci si può aspettare che gli aiuti arrivino sempre dal cielo. La visione che avevamo sul finire degli anni ottanta era che questo benedetto futuro di valorizzazione ed utilizzo dei siti industriali ai fini turistici dovesse arrivare sempre con finanziamenti pubblici. Una sorta, insomma, di una nuova mamma miniera che rinverdisse la sua vecchia e scolorita immagine e la trasformasse in musei o quant’altro.

 


 

Laveria La Marmora
La bellissima Laveria La Marmora: un simbolo della archeologia mineraria nell’Iglesiente che attende un futuro migliore

 


Ma è dall’idea di un privato cittadino che si potrebbe ripartire. Lo incontro alla periferia di Iglesias in una giornata piovosa. Lui, Renato Tocco, un lavoro da infermiere e da sempre una passione per l’archeologia industriale, forse per dare una svolta alla sua vita, decide di acquistare alcuni anni fa un immobile da ristrutturare. Si imbatte in un annuncio su ebay che recita così: “Rudere 100 mq”.  La sorpresa è grande quando visita il luogo descritto nell’annuncio, e non fa altro che constatare che, oltre quel rudere, l’affare contiene anche il prezioso sito minerario di Pozzo Baccarini e parte della storica ed importante rete ferroviaria Monteponi-Portovesme. Sono della convinzione che un altro avrebbe girato i tacchi e sarebbe sparito per sempre, ma non faccio fatica a vedere ciò che la sua mente stava già progettando. Si mette alla ricerca di documenti negli archivi più importanti e ricostruisce pian piano la storia di quel luogo. E non solo: con in mente proprio quella visione del futuro incentrata su un’economia basata sul turismo, inizia a lavorare sulle opere di ripristino del sito. La sua passione sa di qualcosa di fantastico perché il tentativo di ricostruzione di un piccolo tratto della linea ferrata che, anticamente dalla miniera di Monteponi trasportava il minerale fino a Spiaggia Le Cannelle (oggi Portovesme), è qualcosa che va in controtendenza ai programmi di smantellamento attuati negli ultimi decenni, fatto che ha portato alla cancellazione totale di un intero patrimonio della storia dei trasporti industriali e civili dell’isola. Come racconta Renato, la linea, nata dall’esigenza di trasporti veloci, puntuali ed efficienti per il materiale estratto nelle miniere della zona, fu la prima in italia con la misura che oggi chiamiamo a scartamento ridotto. E, con un filo di ironia ma anche di ammirazione, si dice che quei 950 mm, divenuti poi lo standard nazionale, nacquero da un errore dei tecnici della Monteponi che la stavano costruendo. Arrivate infatti dall’Inghilterra le motrici, le mitiche Canada Works, si palesò l’errore. Lo scartamento era inferiore a quello previsto, ma ormai nulla poteva fermare quel progetto tanto voluto dalla Società Monteponi e dal suo capo progettista Pellegrini. Rimediando con un piccolo trucco e la famosa capacità italiana di improvvisare, l’opera vide il suo avvio nel 1871.

 


 

Iglesiente: Renato Tocco
Renato Tocco all’ingresso della galleria Maria che mostra una foto d’epoca

 


Passeggiando per il sito, Renato mi introduce anche ad un altro importante tassello di questa lunga favola industriale. Sappiamo tutti quanto sia stato importante il bacino minerario dell’Iglesiente come fonte di approvvigionamento di piombo e zinco in Italia. Le coltivazioni furono però da sempre condizionate da rilevanti venute d’acqua che impedivano di scendere sotto una certa profondità, problema che si presentava spesso soprattutto nella miniera di Monteponi, dove il livello idrostatico negava all’uomo di lavorare sotto i 70 metri s.l.m. Questa è sempre stata la quota naturale alla quale l’acqua di origine meteorica, rimaneva imprigionata nel sottosuolo in una sorta di conca circondata da rocce e argille impermeabili che le impediva di defluire verso il mare. Dopo diversi tentativi andati male di far scendere il livello sotto i settanta metri installando pompe di eduzione all’interno del pozzo d’estrazione Vittorio Emanuele, si capì che si sarebbe dovuto ricorrere a strumenti più potenti dei precedenti. La costruzione del nuovo Pozzo Sella coincide con il momento di più grande sofferenza per la società mineraria, a cui tra l’altro stava scadendo la concessione trentennale. Con due enormi pompe da 500 hp ciascuna installate al suo interno non si ottennero nemmeno questa volta i risultati sperati e, dopo disperati tentativi di far lavorare al meglio il sistema di eduzione, in sei anni il livello si era abbassato di soli 8 metri e mezzo. Troppo poco per pensare ad un futuro roseo per la miniera. La svolta avvenne quando, grazie ad una legge del 1879, lo Stato decise di vendere la miniera demaniale alla Società Monteponi e l’Ing. Ferraris, allora direttore della Società, riprese a pensare ad un vecchio progetto che prevedeva lo scavo di una galleria di scolo. Essa doveva permettere il defluire veloce e costante delle acque dal sottosuolo verso il mare, vicino solo pochi chilometri. Nonostante le grandi difficoltà incontrate nella costruzione di quest’opera, intitolata poi “Umberto I” e costata un decennio di lavori, i risultati permisero la discesa vertiginosa del livello idrostatico fino alla quota di 14 s.l.m., che si mantenne stabile per almeno un trentennio, facendo decollare l’industria estrattiva dell’Iglesiente.

 


 

Iglesiente - Galleria Umberto I
il tratto finale della galleria Umberto I presso la spiaggia di Fontanamare

 


Mentre assisto quasi incredulo al racconto del “padrone di casa”, mi sforzo di fargli sentire il mio interesse per tutti i dettagli storici, tecnici e naturalistici che mi illustra,  ma la mia curiosità si incentra sulla passione dell’uomo e sulla potenzialità della sua idea. Visione che avrei voluto percepire in certi ambienti della politica isolana, talvolta bendata come i mori della bandiera, capaci di puntare solo alle poltrone delle istituzioni e quasi mai allo sviluppo vero e realistico di un territorio. E, lontana da me l’idea di creare un mito su questa bella storia che sta nascendo con i pochi mezzi che Renato ha a disposizione, mi chiedo se già qualcuno si è accorto che questo può essere un precedente, un esempio per tutti quelli che come me vivono qui e credono che l’economia di un territorio possa ripartire anche senza il solito pomposo taglio di un nastro con fasce tricolori e passerelle per personaggi politici. Io credo che il futuro di un territorio si possa decidere soprattutto con i piccoli passi di un privato e non con i decennali propositi di una pubblica amministrazione, tante volte assente o troppo intenta a far da garante della res publica, immobilizzata da divieti e scartoffie. E, come mi confida Renato, quando non ci si scontra con la burocrazia, nella sua accezione più negativa, arrivano gli ostacoli creati dai soliti idioti, di chi non vuole vedere il futuro e si accanisce su chi si sforza di creare qualcosa di diverso dal nulla che c’è stato in questi ultimi decenni. Negli ultimi anni il sito di Pozzo Baccarini ha subito non pochi atti di vandalismo. Terrazzamenti e una capanna in stile pinnetto danneggiati e addirittura il furto di un muro. Sì, proprio un muro con tutte le pietre con le quali era stato costruito. E questo dimostra che c’è ancora tanto lavoro da fare, soprattutto sulle coscienze di parte di una popolazione che, in tanti casi, vede erroneamente nel lavoro del vicino una limitazione dei propri diritti e libertà. Nonostante tutto ciò, sono convinto che la maggior parte della gente di questi luoghi, invece, crede che quella di Renato sia la giusta strada per uscire da questa crisi, che non è solo economica ma anche culturale. E la cosa più intrigante è che quell’anonimo rudere dell’annuncio su ebay, come in una fiaba, è la dimostrazione che quelle semplici idee che anni fa erano solo un sogno per tanti, stanno diventando una preziosa realtà.