Questa terra non assomiglia ad alcun altro luogo. (David Herbert Lawrence)
Il Tramonto e la Regina
È un pomeriggio autunnale quando da Porto Taverna, splendida spiaggia di fronte la Regina, così mi piace chiamare Tavolara, osservo le sue falesie colorarsi pian piano di rosa. Alcune nuvole simili ad un cappello, stazionano sopra Punta Cannone. Sono talmente gonfie e di strana forma che l’immagine che ho di fronte assomiglia ad un quadro naif. “Che ne pensi del tempo per domani?” – Roberto, il mio storico compagno d’avventure non è preoccupato. Per lui quella domanda è come se fosse una conferma di ciò che già sa. È un tipo esperto ma il contradditorio, il consultarsi con chi va per mare è nella sua forma mentis. “Buono, buonissimo. Al massimo avremo un po’ di brezza da sud est, niente più” – rispondo con fare da lupo di mare. Il ricordo del periplo di due anni prima sposta i miei pensieri alla rotta più che alle previsioni del tempo. Non voglio rimanere ore ad osservare quella roccia chiarissima senza poter atterrare e concedermi un paio d’ore di relax. “Credo che ci convenga scendere verso sud, arrivare fino a Capo Coda Cavallo, risalire costeggiando Molara e fermarci alle piscine. “Ok, credo sia la cosa giusta” – mi risponde l’amico. Il sole ormai sta calando dietro di noi e la Regina si colora prima d’azzurro e, poi ingrigendosi, si spegne adagiata sul mare della Gallura. Mi volto verso nord e intravedo la piccola sagoma del relitto. La Chrisso mi attrae tantissimo ed è il mio chiodo fisso da quando ho visto questo tratto di mare per la prima volta. Rappresenta in primo luogo ciò per ogni uomo di mare va evitato. Un naufragio, perché è di questo che si tratta, è un monito per tutti. Anche se in questo caso non vi furono vittime, quell’ammasso di ferro è lì a farti pensare, meglio di tanti corsi sulla sicurezza in mare. Il limite umano, proprio quello, è credere di poter contrastare le forze naturali ad ogni costo. E ogni volta ci si scontra e ci si fa male, penso. La storia di quella nave, o meglio le ultime ore di navigazione, ci riportano indietro al 1974 quando nella notte dell’ultimo dell’anno si incaglia dopo aver mollato gli ormeggi davanti a Punta la Greca in un fondale che va dai tre ai cinque metri. Una nave che dal 1958, anno della costruzione, aveva cambiato quattro volte il suo nome quando tradizione vuole che non si devono cambiare i nomi alle navi perché porta sfortuna. Rimase lì tanto tempo, immobile e addirittura con un custode a bordo, fino a che non fu ceduta ad una ditta di recuperi che però non ebbe la meglio su quelle rocce. Dopo tanti anni di mareggiate la nave è ora spezzata in due tronconi dei quali uno emerso.
Storie di mare, uomini e tragedie
Ritorniamo al nostro albergo nel centro di Porto San Paolo. L’autunno alle porte rende questo piccolo centro un po’ malinconico. Pochi turisti e residenti che passeggiano frettolosi e infreddoliti dall’aria umida della sera. Pochi mesi prima mi ero recato a Tavolara per il Festival Internazionale del Cinema e queste vie brulicavano di persone. Un contrasto eccessivo, penso, che non ho mai accettato. Vivere questa magnifica costa solo qualche mese all’anno mi riporta alla mente ciò che qualcuno aveva già scritto sull mare d’inverno, un concetto che il pensiero non considera nemmeno. “Allora si va?” – Roberto, impaziente di mettere fra i denti qualcosa, mi distrae dal mio filosofeggiare.
Davanti a una tazza di tè inizio a sfogliare qualcosa sul mio tablet. Cerco notizie sulla Chrisso e mi imbatto su diversi siti che parlano di relitti. A parte la Chrisso ed altre navi dove gli equipaggi sono stati fortunati, l’elenco svela storie di uomini sfortunati che il mare ha inghiottito con i loro mezzi. Non solo navi ma anche velivoli che ancora oggi giacciono in fondo agli abissi. Ed è soprattutto palese che la maggior parte di quelle tragedie sono state consumate durante l’ultima guerra. Dove i proiettili e le bombe non sono riusciti, c’è sempre stato il mare a completare la mattanza di uomini. È il caso del KT 12, una nave da trasporto tedesca che con il suo equipaggio, una mattina di giugno del 1943 davanti al Golfo di Orosei fu colpita dai siluri di un sommergibile inglese. Il Safari, questo era il suo nome, era la bestia nera dei convogli dell’Asse in quest’area, vantando una serie incredibile di affondamenti. Quel giorno, purtroppo per l’equipaggio del KT, la nave trasportava combustibile e le esplosioni che si ebbero a bordo non lasciarono scampo quasi a nessuno. Chi si tuffava per cercare scampo, lo faceva in un mare pieno di fiamme rimanendo gravemente ustionato. Ma qui a Tavolara, oltre la Chrisso, è stato ritrovato dopo oltre settant’anni il relitto quasi intatto del P 311 Tuthankamen, un sommergibile inglese scomparso nel 1943. La scoperta è stata fatta nel 2016 da un esperto deep diver, Massimo Bondone a una profondità di circa novanta metri. L’unità che trasportava due “Chariot”, l’equivalente dei nostri maiali (siluri a lenta corsa), doveva probabilmente attaccare con i suoi incursori alcuni nostri incrociatori nella base di La Maddalena. Si imbattè in un campo minato che lo fece affondare. Lo scafo, così come testimoniato fotograficamente da Bondone, è quasi intatto a parte la prua devastata dall’esplosione e ciò conferma che il relitto è da settant’anni il luogo dove riposano le spoglie dei 71 membri dell’equipaggio. Storie di mare, di guerra e di luoghi che diventano sacrari che dobbiamo trattare con il massimo rispetto.
L’AMP di Capo Coda Cavallo e Tavolara
Arriviamo a Porto Taverna in tabella di marcia. Il sole è ancora basso all’orizzonte e il mare è una tavola. Ci dirigiamo verso sud verso una Cala Girgolu deserta. Il fondale è incredibilmente visibile, ma ciò non mi sorprende più come una volta. Certo, penso, mi piacerebbe rivedere questo mare e sentirmi ancora estasiato davanti a tale bellezza. Ma l’abitudine ci porta a vedere le cose in modo differente. Lo noto negli occhi dei miei nuovi compagni d’avventura che solcano questo tratto di mare per la prima volta. Hanno una maschera di felicità che dal momento in cui abbiamo lanciato in acqua i nostri kayak non smette di farmi sorridere e rendermi soddisfatto della scelta del luogo per il nostro weekend in mare. Siamo all’interno di un’area protetta, l’Area Marina Protetta di Tavolara Punta Coda Cavallo. Istituita nel 1997, comprende circa 15000 ettari di mare e parte dei territori costieri dei comuni di Loiri Porto San Paolo, Olbia e San Teodoro. Per il suo alto valore naturalistico nel 2007 ha ottenuto il riconoscimento di Area Specialmente Protetta d’Importanza Mediterranea. Questi sono stati gli importanti passi in avanti che hanno consentito all’ente gestore di occuparsi sia della protezione del territorio ma anche della valorizzazione turistica che è diventata negli anni un volano per l’economia locale. E non c’è dubbio che istituzioni come questa siano da mettere in agenda per tanti altri territori soffocati dalla crisi degli ultimi anni. A bordo del mio filante Evolution della Nautica Mannino, continuiamo la corsa in direzione sud e una carrellata di paesaggi mozzafiato scorre di fronte agli estasiati pagaiatori. I graniti paleozoici con le loro forme arrotondate sono sormontati da una rigogliosa macchia mediterranea composta da giganteschi esemplari di ginepro mentre una leggera brezza inizia a soffiare da sud est. Una serie di calette precede la bellissima Cala Suaraccia e il nostro primo traguardo Capo Coda Cavallo dove ci fermiamo per una breve sosta.
Molara, l’isola delle capre e del Papa esiliato
È conosciuta come l’isola dagli specchi d’acqua chiarissima, tanto da rinominarne certe zone come “le piscine”. Luoghi che nei mesi estivi, soprattutto luglio e agosto, sono intasati da gommoni e altre imbarcazioni in rada. È la sorella minore della Regina, ma anche tanto diversa. L’abbagliante calcare dell’isola a forma di drago non è presente invece a Molara che è assimilabile, dal punto di vista geologico, alla zona costiera e all’entroterra granitico. Isola privata di proprietà della famiglia Tamponi è ormai deserta da tanto tempo. Ma fino agli sessanta era qui presente un azienda agricola in cui si allevavano capre e bovini e si produceva formaggio. I suoi ruderi sono oggi ancora visibili. Al nostro passaggio sulla costa occidentale alcune timide caprette si affacciano dalla macchia mediterranea saltando di roccia in roccia fino a scomparire ai nostri sguardi. L’isola, anche se non è famosa come Tavolara, è di grande importanza per l’attività dell’AMP per il suo valore ambientale. Al suo interno sono presenti acque sorgive e qui il Gabbiano Corso, specie rara e più piccola del Gabbiano Reale, ha nidificato per anni fino a preferire da qualche tempo Molarotto, la più piccola delle isole. Con la mole della Regina di fronte a me, ricordo anche di aver letto alcune leggende sul Papa Ponziano che si dice sia stato deportato in esilio su Molara. I pochi resti di una chiesetta medievale appunto denominata San Ponziano dovrebbero provarne la sua presenza qui ma tesi contrastanti si sono succedute negli ultimi anni. Quella di Marco Agostino Amucano, archeologo olbiese, infatti tende a smontare in parte le precedenti credenze di un papa condannato ai lavori forzati su quest’isola. La sua opinione, così come dichiarato in un articolo apparso su un quotidiano sardo, è che l’isola, di cui parlano le fonti su cui ha studiato, sia una di quelle dell’Arcipelago Maddalenino e non qui in quest’area. Dal Liber Pontificalis, il libro dei Papi, si evince che Ponziano fu esiliato nell’Insula Bucina che, continua Amucano, è molto probabile sia da individuare nel l’Arcipelago di La Maddalena in quanto già dal sec. XIII questa isole venivano chiamate Bucinarie. È comunque certo che morì nel 235 D.C. per le sofferenze subite e dopo aver abdicato per fare in modo che venisse eletto il suo successore. “Ci fermiamo alle piscine?” – Roberto e Nicola stanno già virando verso est per una sosta nella bellissima e deserta Cala Spagnola mentre rimango ancora ad osservare la mole bianchissima della Regina di fronte a me e alcune capre che mi scrutano dalle rocce sul mare di Molara.
Il Regno di Tavolara
Era il luglio del 2014 e mi ritrovavo a percorrere questo tratto davanti a Cala di Levante con un vento al traverso fortissimo. Le onde non mi spaventavano perché il maestrale qui non provoca marosi, ma le raffiche erano fortissime e l’impressione era che talvolta avrei potuto perdere il controllo del mio kayak. Le poche volte che riuscivo a voltarmi alla mia destra, osservavo quella baia a cui non si può accedere perché luogo off limits. Tavolara è per metà di proprietà dei militari e poco prima eravamo stati rimproverati per essere passati troppo vicini alla costa. Pensavo che non ne era valsa la pena affrontare un periplo di quest’isola costretti ad osservarla per buona parte da lontano e senza possibilità di atterrare. Oggi, a parte una leggera brezza da est, il mare è nostro compagno e non abbiamo nemmeno previsto una circumnavigazione dell’isola. Da Molara si intravedono già le abitazioni e il piccolo porticciolo. “Andiamo a pranzo da Tonino?” – Roberto in frenesia alimentare mi fa venire in mente l’ultimo re di Tavolara e l’idea di mettere qualcosa di prelibato sotto i denti non mi è sgradita. La sua è tra l’altro una storia in bilico tra leggenda e realtà che ha affascinato generazioni di visitatori di questi luoghi. La famiglia Bertoleoni si stabilì qui dopo aver lasciato la Liguria sul finire del 1700, passando prima per la Corsica ed infine nell’arcipelago maddalenino che lascerà per approdare in una Tavolara deserta e regno di una colonia di capre selvatiche. I Bertoleoni, unici abitanti del luogo e senza nessun attestazione di proprietà, cercarono di ottenere la sovranità di questi luoghi che per anni venne richiesta ai Savoia. Quando nel 1836 Carlo Alberto sbarca sull’isola con il suo panfilo reale alla ricerca di quelle capre dai denti d’oro, presentandosi con la frase “Io sono il Re di Sardegna”, Paolo Bertoleoni replica con il “Io sono il re di Tavolara” ponendo inizio alla leggenda dell’incontro dei due re. Da allora si parla di una buona amicizia tra i due che passarono giornate a caccia insieme. Ma come si è arrivati a parlare di Regno in questa piccola e remota località? Il Demanio, probabilmente anche a causa di assenza di un atto di proprietà, sfrattò la famiglia dall’isola. Cosa che si evitò con l’intervento di Carlo Alberto che, qualche giorno dopo, promulgò un editto che nominava Paolo Bertoleoni primo sovrano e proprietario dell’isola di Tavolara. Oggi la famiglia possiede circa 70 ettari dei 700 che tra l’altro sono occupati per buona parte da una base militare. Il ristorante di Tonino, ultimo re di Tavolara, è una meta importante per tutti quelli che vogliono sentire e toccare con mano una storia che sa dell’incredibile. Anni fa, durante un’intervista, egli si definì il re più povero del mondo ma con un regno paradisiaco. E come non credergli. Mentre osserviamo dal basso queste falesie, i nostri kayak scivolano su un’acqua cristallina e un profumo di pesce arrosto che proviene dalle cucine del ristorante sulla spiaggia quasi deserta. Mi volto a sinistra oltre la spiaggia di Spalmatore di Terra e cerco di scorgere la Chrisso. La osservo in lontananza ma per ora il mio chiodo fisso rimane laggiù ad aspettarmi. Per ora ci fermiamo qua, a goderci un piatto di Tonino e magari ad ascoltare nuove storie sul suo regno.
Il video che mostra la nostra visita nel 2014 quando le condizioni del tempo non erano ottimali.
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Equipment
Seakayak Evolution 2.0 della Nautica Mannino
Pagaie AKIAK, KAYAKID e NUKILIK della Gearlab Paddles
Fotocamere GOPRO – Nikon – Sony
Occhiali da sole Sungod
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