Velasquez's Logbooks

Era considerata una virtù non parlare se non in caso di necessità, sul mare. It was considered a virtue not to talk unnecessarily at sea. (Il Vecchio e il Mare – E. Hemingway)

 

È mattino presto quando percorro la strada che conduce alla Punta. Guido in modo tranquillo pensando che, dopotutto, sono in largo anticipo, quando vedo i fari che illuminano la grande costruzione. Il numero delle luci è talmente esiguo da non riuscire a farmi un’idea delle dimensioni  della struttura in cui è ubicata la Tonnara. Fissandola distrattamente, mi vengono in mente paragrafi interi di materiale documentale raccolto in questi mesi.

Libri, riviste e anche semplici appunti che a metà degli anni settanta stavano per diventare le lapidi che la gente del luogo avrebbe inciso a ricordo di un’attività così florida che, si pensava, gli scarichi di un’industria stavano portando alla morte.

Anche se si era certi delle cause per le quali i tonnarotti in quegli anni  non avevano visto alcun tonno, è anche vero che qualcuno, in principio, aveva puntato il dito addirittura sulla professionalità dei rais, rei di aver calato le reti in ritardo. Polemiche e accuse reciproche che non fecero però aumentare il numero dei pesci nelle reti in quel tratto di mare. Anzi, le stagioni negative per la pesca erano ancora di lì a venire, mentre gli anziani del Paise ricordavano le mattanze in cui si catturavano migliaia di quelle argentee creature del mare, battendo da una stagione all’altra record già di per sé insuperabili.


Il Rais impartisce gli ordini dalla piccola Musciara

L’attesa

In perfetto orario, arrivo al piazzale antistante alla costruzione. Mi trattengo ancora un po’ ad osservare il luogo dall’esterno e il cielo che non presagisce nulla di buono. La notte prima mi era stato assicurato che la mattanza si sarebbe fatta, considerate le buone condizione del mare e la presenza di un buon numero di pesci nelle reti. Di fronte l’Isola Piana, con il vecchio stabilimento per la pesca ormai residenza lussuosa per turisti. È perfettamente illuminato  e la cosa contrasta con le povere luci che qui alla Punta fanno a stento il proprio dovere. Messa in spalla la mia fedele Nikon, mi avvicino al portone d’ingresso. Suono il campanello, attendo. Mi risponde una voce con il tipico accento del luogo, facendomi sentire lontano dalla mia Sardegna. Il portone che si apre mi distoglie per un attimo dal pensare. “Buongiorno” – mi riceve un ragazzo con una cerata gialla – “se vuole attendere, il Dottore sta arrivando”. Lo ringrazio mentre lui riprende ad occuparsi delle sue mansioni. Ora sono all’interno di quel grande muro di cinta che vietava la vista del piazzale calpestato da generazioni di pescatori. Monto sul corpo macchina il 28 e inizio a scattare. Tutto è rimasto come un tempo. Dai Marferaggi, i locali dove si lavorano i tonni dopo la mattanza di mare, si solleva il forte e nauseabondo odore del pesce che rende ancor più surreale l’atmosfera. Ecco ciò che manca ai libri e alle fotografie, il poter trasmettere i profumi del momento ed è cosa di non poco conto. Una voce alle mie spalle mi fa sobbalzare – “la barca ci aspetta al molo, se lei è pronto possiamo andare”. Mi tende la mano un uomo sulla sessantina, baffetti che gli danno un’aria aristocratica e, nascosto sotto la cerata, un abito elegante che a me suona alquanto fuori luogo per l’avvenimento. Nel piccolo porticciolo della Tonnara è ormeggiata una barca da pesca intorno alla quale si intravede un gran fermento. Alcune persone stanno caricando una moltitudine di sacchi bianchi. “Mi dispiace ma viaggeremo un po’ scomodi, abbiamo bisogno del ghiaccio per proteggere i pesci dal caldo” L’avvocato, come viene chiamato qui da tutti l’uomo con i baffetti, sale sulla barca impartendo ordini a trecentosessanta gradi. Il carico non è simmetrico e lui ne fa spostare alcuni sacchi su un lato. Dolcemente l’imbarcazione salpa, concedendomi l’occasione di scattare qualche foto della Tonnara dal mare.

Diventa sempre più scuro e il cielo, ora plumbeo, mi dice che ho forse sbagliato giornata. Ma queste sono giornate uniche ed è già troppo se queste persone erano là ad attendermi e traghettarmi sul luogo. La pesca, che avviene sempre tra maggio e giugno, sfrutta il periodo in cui l’istinto riproduttivo porta i tonni a migrare verso alcune zone del Mediterraneo, e cioè Africa Settentrionale, Sicilia, nel Tirreno e Ionio sulla costa occidentale della Sardegna.


A bordo ci si prepara per la mattanza

In alto mare

Ora anche il mare non mi sembra così calmo e l’impressione che avevo a terra diventa sempre più reale man mano che ci allontaniamo dalla costa. “È un bel maestrale, le conviene ripararsi qui dietro a poppa” – un ragazzo, di non più di vent’anni ma dall’aria da lupo di mare, rimane in piedi bilanciandosi con il corpo, rispondendo alle onde che ci investono da nord ovest. Mentre mi avvicino come una scimmia aggrappata al corrimano, vedo che ha un’espressione altera di chi può permettersi di stare in piedi senza nessun aiuto con questo mare. Scruta l’orizzonte come se il viaggio lo dovesse portare lontano ma sa benissimo che i suoi compagni più esperti sono già lì sul posto a preparare l’evento che aspetta con ansia ogni anno. Pensa forse a quando potrà diventare lui il Rais, il capo incontrastato di quella ciurma coraggiosa che ha sempre visto ritornare a terra con il prezioso bottino e che vedeva fino a ieri i suoi eroi. Oggi sono i suoi maestri dai quali deve imparare il coraggio e anche la destrezza. Questa non è la pesca che possono praticare tutti. Qui devi sapere come agire, come muoverti, o metti a rischio la tua incolumità e quella degli altri.

Se il mare peggiora, penso, non riuscirò a scattare nemmeno una foto. La prua della barca solleva spruzzi d’acqua dappertutto e il vento si fa davvero forte ma l’unico preoccupato sembro solo io. L’equipaggio è ammutolito fino a quando il ragazzo di poppa, a un certo punto, si sbraccia urlando, – “Eccoli” – indicando con la mano. In lontananza s’intravedono alcune imbarcazioni scure. Sono le barche “incastellate”, ormeggiate e legate fra loro nel perimetro costituito dalla camera della morte. Non c’è più quella trasparenza del basso fondale e il blu intenso dell’acqua contrasta in modo netto con la scia della nostra barca. L’alta falesia fa da cornice al quadro in monocromia dipinto dalle fosche tinte del cielo e del mare. “Sì, siamo arrivati” – L’avvocato esce dalla cabina e adesso anche lui scruta lontano. Sembra avere un non so che di familiare con il ragazzo. Come se l’anziano uomo avesse vissuto anche lui gli stessi momenti, avesse partecipato da fremente spettatore alle attese a terra degli uomini che oggi dirige con finto distacco. Gli occhi gli si illuminano di fronte alla schiera di imbarcazioni piene di pescatori pronti ad agire, quasi non vedesse l’ora di sapere quanti tonni emergeranno dall’oscurità del fondale. La barca, sballottata dalle onde, accosta e ci fa trasbordare su un’enorme imbarcazione sulla quale si sta procedendo a sistemare diversi teli bianchi. Simili a un sudario,  essi serviranno per adagiare le vittime sacrificate della mattanza. I movimenti di tutti sono precisi e nessuno chiede all’altro su da farsi, mentre la tensione viene abilmente mascherata da gesti semplici e antichi.


Issati a bordo i tonni si dibattono negli ultimi attimi di vita

L’Arena

È tutto pronto quando l’Avvocato mi mostra un ragazzo col pizzo, dall’aria forte e decisa. “Quel ragazzo ci sa fare, è lui il “Rais”. In piedi sulla Musciara, una piccola barca dai colori vivaci, a metà strada tra la nostra imbarcazione e il vascello che chiude il quadrato della camera della morte, lancia alcuni ordini e subito sulle grandi imbarcazioni ci si agita e ci si sbraccia. La ciurma di fronte a noi inizia a tirare le reti con movimenti lenti, cadenzati dalle urla del loro comandante che controlla dall’interno della camera che tutto proceda nel migliore dei modi. Il Rais, indubbiamente capo incontrastato della mattanza, in altri tempi lavorava tutto l’anno per questo evento. Capo del personale, tecnico delle reti, conoscitore di uomini e mare, egli aveva una responsabilità immane. Ancor oggi, a distanza di secoli, è lì al suo posto di regista di uno degli spettacoli più drammatici della storia dell’uomo. La tensione comincia a farsi sentire e qualcuno si abbandona a bestemmie di ogni genere mentre le reti continuano a risalire dalla profondità ed insieme ad esse i loro inconsapevoli prigionieri. “Sono molti questa volta” – L’avvocato fissando il centro del Corpus, sembra determinare il numero dei tonni sulla base della fatica fatta dai suoi uomini, mentre la musciara del Rais incomincia a vacillare tra i primi spruzzi provocati dall’agitarsi degli animali presi in trappola. Sono momenti terribili in cui l’uomo ha paura dell’animale che, ancora forte, è determinato a non farsi catturare senza prima aver lottato o cercato un’impossibile via di fuga. I volti di tutti sono una maschera di sofferenza. Più il quadrato si chiude e più fanno fatica. Ora il caos è totale. Il mare si riempie di spuma e i tonni impazziti schizzano in superficie colpendosi l’uno con l’altro, roteando come trapani in cerca di una falla nella rete. Scatto una foto dopo l’altra, rischiando anche di cadere fuori bordo ma continuo eccitato dallo spettacolo unico che ricorda un mare in burrasca. Mi viene in mente ciò che mi dissero quei vecchi ricordando il capo pesca che, con in mano un crocifisso, pregava insieme ai suoi compagni poco prima di iniziare a tirare le reti. Un’Ave Maria seguita da preghiere a Sant’Antonio, San Giorgio, San Gaetano e “San Pè”, San Pietro, “che ci mandi una buona pesca”.  Solo ora intuisco il perché di ciò. I corpi degli animali stremati dal loro stesso agitarsi, galleggiano in superficie. “Vede, non vengono più colpiti quando sono ancora in acqua, oggi li issiamo a bordo una volta stanchi ed ormai innocui” – il ragazzo della barca, avendo notato il mio sguardo incuriosito da un’apparente calma degli equipaggi comincia a spiegarmi a modo suo l’evoluzione della pesca in questi anni. “Ecco, i tonni sono avvicinati alle barche e agganciati a quel paranco. È molto più semplice e meno pericoloso per noi”. L’acqua, infatti, rimane pulito fino alla fine e addirittura si riescono a contare i pesci catturati. Sono qualche centinaio di diverse taglie e pesano dai cinquanta chili in su. Adagiati sul ponte del vascello come in una fossa comune, trascorrono gli ultimi attimi della loro vita continuando a dibattersi inutilmente lontani ormai da quel fluido che li vedeva librarsi finora con un’incredibile eleganza. Un urlo della ciurma dichiara terminate le ostilità. Oggi si può essere soddisfatti. I tonni, quelli scelti tra i migliori pescati, partiranno domani stesso. Fissando il vascello stracarico di pesce, sorrido, immaginando una tavola imbandita con quelle pregiate carni dove una piccola famiglia, nel lontano Giappone, consuma il suo pranzo, ignara del lontano luogo dove si è svolta una pesca così antica che si ripete anno dopo anno, secolo dopo secolo, con gli stessi gesti e la stessa passione. È finito tutto. Pioviggina mentre siamo trainati a terra da alcune barche a motore. Con lo sguardo faccio una carrellata sui visi provati degli uomini degli equipaggi tra i quali è calato il silenzio. Sarà forse il peso della stanchezza, penso. Anche se dentro di me voglio credere nel loro rispetto per quei corpi sacrificati in questa arena che è il mare che anche quest’anno li ha gentilmente concessi.


I Tonni vengono adagiati a bordo dei vascelli