Fine anno e tempo di bilanci. Non potevo non scrivere qualcosa su questi dodici mesi intensi, passati a progettare, o quantomeno a pensare a nuove idee. È vero, ho trascurato non poco il nostro blog, ma nel frattempo sono arrivate su altri fronti  tante buone notizie . Tanta carne al fuoco che mi ha visto iniziare una nuova avventura, un salto di qualità che mi consente di raccontare la nostra Sardegna, il nostro piccolo mondo, con un linguaggio diverso, quello filmico.

 


 

 

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Tutto è iniziato quando, dopo l’invito a partecipare al Big Blue Festival, sfidando quasi la sorte e soprattutto il pubblico, ho presentato un docufilm, La Miniera sul Mare. La storia di questo documento è alquanto strana, pensando che prima di avere un’idea chiara su quale argomento avessi dovuto trattare, aveva già un titolo buttato così a caso. Nessuna trama, nessuna idea e tanta confusione, come una nebbia nel cervello che si è diradata quando, in una di quelle notti di insonnia, ho pensato a me stesso, ai miei anni passati su quest’isola. Luogo odiato quasi a tal punto da lasciarlo per sempre, per rincorrere miraggi che poi, in seguito, sono svaniti nel nulla, lasciandomi invece una visione più chiara sul mio futuro. Regalandomi infine l’opportunità di amare veramente la terra dove sono nato, di cui oggi riconosco la infinita bellezza, ma anche i suoi difetti e le sue contraddizioni.

 

 


 

 

La Miniera di Monteponi a Iglesias vista dal Monte San Giorgio

 

 


 

Mi sono messo quindi all’opera, costruendo qualcosa di credibile e autobiografico. Mettendo la faccia di fronte a una telecamera, raccontando senza peli sulla lingua ciò che è stata la vita per i tanti che, come me, avrebbero voluto quel futuro che non si è mai realizzato. Raccontando la rabbia per aver perso tanti parenti e amici, partiti alla ricerca di quel benessere che avremmo meritato di avere qui e che invece qualcosa o qualcuno ci aveva negato.

La chiave del filmato è una domanda. Perché una terra così bella, l’Iglesiente, ricca di un patrimonio ambientale e storico così importante non è mai riuscita a risollevarsi negli ultimi decenni? 

È chiaro, non esiste un’unica risposta e lo si deduce dal fatto che di cause possono essercene tantissime. Ma è anche vero che, in un territorio dominato dall’industria mineraria per centinaia di anni, qualcosa nella nostra comunità, è mancata anche dal punto di vista culturale . Quel dominio coloniale ha volutamente determinato un immobilismo nelle idee e, soprattutto, nelle azioni dell’individuo, relegandolo a semplice comparsa di quell’epopea industriale. Privandolo, inoltre, di quel necessario spirito di imprenditorialità che oggi, invece, avrebbe determinato il cambio di rotta per uscire dalla crisi devastante di questi ultimi decenni.

 


 

 

La Laveria La Marmora a Nebida

 

 


 

 

E se il fattore culturale è stato determinante, non di meno lo è stato quello politico.  Da quei rappresentanti, originari di quello stesso tessuto sociale, non è arrivato sicuramente l’aiuto che questa comunità meritava. Un vuoto politico e amministrativo, un vero buco nero che non ha prodotto né sviluppo, né una tanto attesa riconversione economica. Quando poi abbiamo visto avverarsi il sogno rappresentato dall’istituzione del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, siamo tutti rimasti alla finestra ad attendere miracoli che non sono mai arrivati. Anzi, ci siamo compiaciuti nell’ammirare quei carrozzoni politici che, anno dopo anno, hanno dilaniato quella bellissima idea, trasfigurandola in qualcosa su cui nessuno avrebbe più scommesso.

E, se non fosse stato per i tantissimi individui innamorati del proprio territorio – che hanno comunque creato alcune condizioni per un rilancio del territorio, in previsione di una vera riconversione economica – il documentario si sarebbe dovuto chiudere in maniera pessimistica. Questo non è avvenuto ed anzi  si chiude il sipario rilanciando l’idea di riprendere le redini del nostro presente, perchè è la sola cosa che conta. Parafrasando L.F. Celine, chi parla dell’avvenire è un cialtrone, chi invoca i posteri parla ai vermi, è solo l’adesso che conta.