…che ti move, o omo, ad abbandonare le proprie tue città, a lasciare li parenti e amici, ed andare in lochi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo?….
In passato mi sono sempre domandato quanti tipi di kayaker esistono e se mai, incontrandoli, avrei avuto modo di scambiare opinioni, modi di vedere la nostra disciplina. E, da quando utilizzo i social mi è capitato di incrociarne molti fortunatamente . Qualcuno alle prime armi, ancora spaesato, e talvolta quasi portato ad abbandonare perché non trovava nessuno con cui pagaiare. Era quello che mi chiedeva consigli – come se poi io fossi il grande esperto – su attrezzature, sulla manutenzione, sui posti da vedere. Alla fine era una soddisfazione vedere la sua passione crescere nei suoi occhi quando si parlava di Pan di Zucchero, della Grotta Azzurra o di altri siti facilmente raggiungibili sulla nostra costa. Un piacere constatare che l’amore per il mare e per uno sport possono essere contagiati anche solo con un buon racconto, con parole rassicuranti e amore per la propria terra.
Ma ciò che mi ha affascinato è stato poi l’incontro con quelli che io posso definire davvero gente di mare. Uomini e donne che hanno già alle loro spalle anni di veri e propri viaggi in giro per il mondo, e che non hanno proprio nulla da invidiare a molti marinai.
Ed io, in questo caso, sono molto attratto da persone come loro che, ad un certo punto della loro vita, lasciano tutto e si dedicano ai loro viaggi. Mesi passati a forza di braccia che non hanno niente di banale e che metterebbero alla prova anche i più esperti in discipline di sopravvivenza. E la mia buona dose di invidia nei loro confronti per la forza mentale, più che fisica, mi rende sempre più curioso sul motivo che muove un individuo a spingersi oltre i consueti comfort della vita moderna, che mai altri lascerebbero per dormire all’addiaccio su una spiaggia. Li incontri quasi sempre con i loro indumenti pregni di salsedine, il viso bruciato dal sole – che in mare sembra avere una forza spropositata tale da rendere le creme protettive solo un palliativo contro le sicure scottature – e sembrano uscire dai romanzi di Conrad .
In questi mesi ho avuto l’occasione di incontrarne tanti e non ho voluto lasciarli andare senza almeno passarci qualche minuto, magari di fronte a una birra, con il desiderio di esplorare i loro sogni, le loro aspettative, le loro visioni.
Il Gruppo di amici
È stato l’incontro che potrei definire più consueto. Il caso tipico e molto diffuso di chi si accorda con gli amici di sempre e organizza quell’avventura che li porta, con l’entusiasmo che si ha soprattutto quando si è giovani, a esplorare nuovi scenari, nuovi luoghi. Sono quelli che vivono con la sempreverde curiosità, quasi sempre dormiente in tanti di noi, e che invece in loro è sempre dominante e li rende iperattivi e propensi al viaggio.
Angelo, Nicola e gli altri amici erano sulla spiaggia di Portu Paleddu. Mi hanno regalato un momento emozionante quando – pensando di fare qualcosa di gradito – ho portato loro in dono il mio libro con dedica, per scoprire poi che ognuno di loro ne aveva già acquistato una copia e la teneva ben protetta dentro il gavone come la cosa più preziosa di quel viaggio. Persone di estrazioni culturali e sociali diverse che, con fare di chi si diverte proprio, fa la sua parte nel gruppo anche quando le condizioni di vita diventano difficili e devi avere una disciplina marinaresca per non finire la tua vacanza con più nemici che amici d’avventura. Lungo la costa dell’Iglesiente se la prendevano comoda, discendendo verso sud – anche se la media delle miglia nautiche percorse quotidianamente era di tutto rispetto – con il loro andare, come piace tanto a me, comandato dai loro sentimenti, dalla loro curiosità per la natura dei luoghi. Sono andati via, con la felicità che gli si leggeva negli occhi, alla ricerca di nuove avventure e nuovi luoghi da esplorare, quasi in punta di piedi. Quello che mi è piaciuto di loro è stata quella calma, quell’attitudine al gruppo e l’attenzione nel cogliere i più piccoli e interessanti dettagli dell’ambiente esplorato.
Quelli che non perdono tempo
Non perché sia contro le loro idee e passioni, ma sono quelli più lontani da me e dal mio modo di pensare il mare e il kayaking. Sono quelli che tentano il record, l’andare oltre il limite, anche soprattutto contro i propri. Li capisco, e so cosa vuole dire perché è capitato anche a me. Essere sempre attratto dal guardare quel maledetto orologio che ti dice tutto: l’ETA, la velocità media, la massima e i paragoni fatti con i giorni prima, i grafici e le rotte più veloci. E quando il tuo talento è quello, ci sta tutta la voglia di primeggiare, prima con gli altri e poi soprattutto con te stesso. Ma da questo mondo mi sono allontanato molto tempo fa, quando ho scoperto che il mondo mi ruotava intorno senza che io riuscissi a capire il perché ero lì in quel luogo, in quel momento. Stavo perdendo parte dei miei anni dietro il display di un semplice orologio al quarzo. E quando ho smesso di pensarla così, di andare per mare, in mountain bike in questo modo, mi sono reso conto subito di quanti dettagli mi ero perso negli anni. Non passava giorno che non mi sorprendessi che, nonostante fossi passato da lì mille volte, c’erano sempre cose che non avevo mai notato. Ecco perché oggi viaggio in modo lento, senza guardare le lancette.
Il solitario
E poi ti arriva un messaggio. Da quello con cui non sei mai stato veramente in contatto e che invece è qui dalle tue parti, e ti sta cercando. Viaggia da solo, autonomo in ogni dettaglio. Lui, il suo kayak, le sue mappe e tutto l’occorrente per vivere un’avventura non da tutti, non per me davvero. All’inizio ho pensato al viaggio di un uomo in cerca di se stesso, che stesse compiendo quel viaggio con il solo obiettivo dell’introspezione. Solo con se stesso, era forse questo il modo migliore per passare più tempo con i propri perchè, pensavo. Certo, riflettendoci, in qualche modo la sua solitudine lo stava portando a conoscere profondamente se stesso, i propri limiti, la paura in qualche caso. Ma non era tutto, e lui me lo ha dimostrato con il suo modo di fare, di gestire interamente il suo viaggio. È vero, in questo suo periplo, la solitudine – che lo accompagna nelle deserte calette dove gli sbarchi sono la meta quotidiana meritata dopo ore di mare – è una costante a cui devi abituarti, ma non sempre ciò vuol dire isolamento. E, ad eccezione delle poche soste in ambienti distanti dai centri abitati, la maggior parte delle ore passate a terra sono un viaggio antropologico che lo sta portando a conoscere, non solo individualmente le persone che incontra nel suo cammino, ma a capire e rendersi conto delle differenze culturali delle comunità dei luoghi visitati. Quando l’ho visto sulla spiaggia di Fontanamare, e poi successivamente anche a Masua, – infreddolito da una primavera sarda veramente fuori dal comune – la mia voglia era quella di fare domande, capire. Ma mi sono reso conto che l’esperimento, il gioco, anche se in maniera totalmente naturale, lo stava conducendo lui. In questo mese di viaggio intorno all’isola, non ha mai smesso di rimanere in contatto con le persone che ha conosciuto, che lo hanno aiutato in qualche modo a continuare nell’impresa del periplo. E questo è ciò che mi ha veramente colpito e che mi fa tifare per lui, quel tipo di viaggiatore d’altri tempi che con il suo taccuino sempre pronto, ha fatto sua la forza di chi va avanti reintegrando le proprie energie quotidiane arricchendosi di relazioni umane. Lui è il vero marinaio, l’antropologo, l’esploratore e che alla fine del suo viaggio sarà anche un po’ sardo.